Tanto lavoro, poco smart
- Posted by Carolina Lucchesini
- Categories Blog, Uncategorized
- Date 14 Maggio, 2020
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Sono stati due mesi di invasione da notifiche, call, videochiamate, zoom, ma mi senti? Sì io ti sento. Aspetta, c’è il mio capo che mi scrive su WhatsApp.
Se anche tu hai provato, e provi, un senso di oppressione da questo modo di lavorare che è tutto fuorché smart, in questo numero della Newsletter c’è un’intervista a Gaia Berruto,ex giornalista di Wired e oggi coordinatrice editoriale di Mediaset Play Magazine, che parla proprio di questo.
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Smart Uorki. Hanno fatto anche le magliette, prendendo un po’ in giro il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Come sta andando il tuo, di smart-working?
Bene. Ma partivo avvantaggiata: quando sono arrivata nel mio attuale posto di lavoro (era la fine del 2018) ho suggerito l’adozione di Slack eliminando gli altri strumenti usati: il team ha avuto tempo di abituarsi a passarsi informazioni in questo modo, anche quando si lavorava fianco a fianco. Siamo sempre stati flessibili, a volte qualcuno lavorava da casa e ci si sentiva solo via Slack, per cui con l’obbligo di restare tutti a casa è stato facile gestire la comunicazione via chat. Diverso il rapporto con altri team di lavoro dell’azienda: per quanto avessimo suggerito l’adozione di Slack a tutti, l’assenza di chiare regole d’ingaggio ha portato all’abbandono della piattaforma per mille altre: mail, Microsoft Teams, Skype, addirittura WhatsApp. Creando non poca confusione e tanta frustrazione. La comunicazione è spezzettata e non sai mai dove e se troverai la persona che cerchi.
Lavorare nel digitale può aiutare la messa a sistema di un modo di comunicare sano? Oppure, peggio, può avere effetti opposti?
Non credo che lavorare nel digitale, di per sé, ti dia una maggiore capacità di gestione della comunicazione. Ho colleghi che lavorano nel digitale da vent’anni, ma ti mandano informazioni lavorative fondamentali via WhatsApp. È una forma mentis che apprendi se sai bilanciare lavoro e vita privata e se sei attento al benessere di chi lavora con te.
Che cos’è, per te, un ecosistema salutare della comunicazione?
Ti direi che lo associo all’idea di ordine. Sapere che la comunicazione non è una cosa che “succede”, ma sono flussi che devi organizzare attraverso regole precise. Una su tutte: si devono usare strumenti diversi a seconda delle situazioni e dei destinatari. Non manderei mai una mail a mia madre per sapere come sta. Allo stesso modo, non scriverei mai un messaggio WhatsApp a un mio collega per girargli un documento, anche se urgente. Slack ha molti difetti, ma tra le cose che apprezzo di più c’è la funzione “Do Not Disturb”, che puoi personalizzare ogni giorno con orari diversi. Finito di lavorare, si imposta il silenzioso fino al giorno e all’ora in cui si decide che possono tornare le notifiche. Anche se il mio ruolo mi impone la reperibilità, anche io spengo le notifiche dopo una certa ora. Le persone con cui lavoro sanno che la sera non mi troveranno su Slack. Ovviamente per un’emergenza lavorativa chiunque può telefonarmi, ma tutto il resto (notifiche di Crowdtangle, comunicazioni non importanti, appuntamenti) resta fuori dalmio campo visivo e sonoro fino al giorno dopo. Sento di persone che stanno andando in burn out a causa di gruppi WhatsApp create dai datori di lavoro per gestire l’emergenza, con centinaia di notifiche a qualsiasi ora: èinaccettabile. Un buon responsabile sa scindere lo spazio personale da quello lavorativo. Anche, e soprattutto, online. E se non è in grado di farlo, è una cosa per cuidevono lottare i dipendenti, proponendo soluzioni alternative: un’altra piattaforma, l’uso delle mail. Uno strumento che sia usato unicamente durante il turno di lavoro e che non “ti segua” nel resto della tua giornata. Le notifiche.
Diverse colleghi e colleghi che ho sentito in questo periodo dicono: “Sto lavorando molto di più, a tutte le ore”. Come te lo spieghi?
In parte è tecnicamente vero per quello che dicevamo sopra: le notifiche ti perseguitano. Secondo un sondaggio di Eurofond fatto a 85mila lavoratori dei paesi dell’Unione Europea da inizio pandemia a fine aprile, oltre uno smart worker su quattro (27%) afferma che ogni due giorni è costretto a lavorare anche nel tempo libero. C’è difficoltà a staccare o a rendersi irreperibili. Anche perché con le restrizioni attuali dove potresti nasconderti? Ma oltre a questo credo che, dopo due mesi di reclusione, ci sembri di lavorare di più perché ci manca uno stacco psicologico, che prima si materializzava attraverso il tempo, lo spazio e il tempo libero. Ci manca il tempo di trasferimento da casa a lavoro,che prima probabilmente odiavamo, ma che a ben vedere ci serviva per chiudere completamente la parentesi lavorativa ed entrare in quella domestica o di piacere. Discorso simile per lo spazio di lavoro: se lavori nella stessa stanza in cui pranzi, ceni eguardi la tv hai l’impressione di non staccare mai. Niente di nuovo: chi è o è stato freelance lo sa bene, anche per questo motivo sono nati i co-working. Ho letto psicologi consigliare di cambiarsi d’abito quando finisci la giornata di lavoro, per enfatizzare un cambiamento. Io mi limito a non usare più il laptop di lavoro. Se proprio mi serve il computer la sera, accendo un vecchio MacBook Pro. Più lento, ma sa di casa.
C’è secondo te un problema generazionale nella gestione dell’immediatezza?
Come al solito non sono per generalizzare, perché non è l’età a renderti più o meno in grado di gestire nuove forme di organizzazioni e nuove forme di comunicazione. Forse ne farei più un tema di grandezza delle aziende: dalla mia esperienza più un’azienda ègrande più fatica a sistematizzare nuove modalità.
Oppure è proprio riferito alla cultura del lavoro? Mi spiego meglio: se io ti “vedo” lavorare, “controllo” il tuo lavoro; siccome ora “non ti vedo” devo verificare che tu stia effettivamente lavorando. Quindi ti inondo di messaggi,a qualsiasi ora, su qualsiasi device. C’è dell’altro, secondo te?
In qualcuno c’è un problema di fiducia nel proprio dipendente, sicuramente. Ma c’è anche un’ignoranza nella gestione dei mezzi di comunicazione per cui, non sapendo dove scriverti per essere certo di beccarti, ti scrivo ovunque nella speranza che tu mi risponda il prima possibile. Questo accade se a monte dello smart working non si è creata una policy chiara sugli strumenti da utilizzare. E si torna al problema dell’organizzazione.
Hai un ruolo di responsabilità nel tuo team. Hai fatto qualcosa di specifico per la gestione di questo aspetto? Conosci casi virtuosi di gestione?
Gestendo un team che lavora su più turni, da subito le regole di reperibilità erano chiare, non abbiamo avuto necessità di rinegoziarle con lo smart working. Con la lontananza, per quanto ci sentissimo tutti i giorni su Slack, ho sentito che mancava nelle nostre comunicazioni l’aspetto più “caldo”, che prima sfogavamo nei momenti di pausa. Per abbiamo istituito una videochiamata settimanale. Una ventina di minuti massimo, in cui ci si guarda in faccia (siamo in 8), chi ha voglia condivide qualcosa di personale, come prima facevamo in pausa caffè (abbiamo preso l’abitudine di raccontarci i sogni più assurdi della settimana). E poi si fa un veloce punto della situazione lavorativa, si evidenziano eventuali criticità e si danno eventuali informazioni su cosa sta succedendo in azienda, per limitare il più possibile quella sensazione di sentirsi abbandonati a se stessi dopo due mesi di reclusione forzata.
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